giovedì 10 dicembre 2020

"Prendevo nove ai temi d'italiano, eppure mi hanno detto che non so scrivere!"

Ciao! 

Eccoci di nuovo qui con un quesito/affermazione interessante. Da editor, ho sentito molto spesso questa frase, e se quando ero alle prime armi era un'affermazione che mi colpiva in prima persona, perché lo pensavo anche io, con il tempo ho capito dov'era l'inghippo.

Per spiegarvelo, però, ho deciso non di descrivere tecnicamente il perché e il per come, ma di prendere a esempio qualche frase del mio professore di linguistica all'università (luogo in cui spero di riuscire a tornare dopo questa dannata pandemia!)

Durante le primissime lezioni, infatti, questo santo uomo ci ha spiegato una cosa a cui ero arrivata da sola in maniera molto vaga, ma che non avevo mai collegato a "un fatto concreto": a scuola insegnano le basi necessarie a vivere in una società "normalizzata e convenzionale", ma una volta che si vuole intraprendere un mestiere legato alla scrittura o allo studio di essa, bisogna cancellare tutto e ricominciare daccapo.

È vero.

Così come esistono sei vocali e non cinque, così come "le analisi logiche e grammaticali" fatte alle elementari si basano su convenzioni che i linguisti aborrono, così un editor ti dirà che ci sono norme editoriali, metodi e tutta una serie di "obblighi" che non sai finché non ti approcci in maniera tecnica a un testo.  

Sapete, mia madre è un'insegnante di scuola elementare. Una volta mi trovai a parlare con lei di un libro che avevo abbandonato perché infastidita dallo stile dell'autore. Si trattava di un thriller, e l'autore utilizzava lo schema "due punti, aperte virgolette" tra una scena e l'altra, struttura che rallentava il ritmo e mi "afflosciava" del tutto. Quando le spiegai i motivi del mio fastidio, lei obiettò che quel modo di introdurre i dialoghi era proprio quello che insegnava ai bambini, a scuola.

"È sbagliato?" mi chiese.

Rullo di tamburi...

Assolutamente no, tranquilli :D Il fatto però è che dipende. Dipende dalla scena che si vuole descrivere, dipende dal ritmo che quel frammento richiede, dipende dal genere letterario in cui si è deciso di muoversi, dipende da... tutto.

Il punto fondamentale da capire è che a scuola ci si va per leggere e scrivere nella vita di tutti i giorni, ma per scrivere un libro ci vuole altro. Ci vuole studio, studio, studio. Come si va all'università per studiare e poi apprendere un mestiere, una disciplina, un'arte, così si deve studiare per saper scrivere nel vero senso della parola.

Ora, non tutti hanno la possibilità di andare all'università o permettersi corsi costosi qua e là. Magari il paese in cui si vive è del tutto scollegato "dalla civiltà" (come il mio, tipo!); magari nella propria città non esiste alcuna realtà legata alla scrittura/lettura; magari, semplicemente, la vita non ci consente il "lusso" di studiare altrove o di investire denaro.

Però, come dicevo qualche giorno fa, è possibile ottenere buoni risultati anche da soli. Il che non significa che studiare da soli sostituisce corsi professionali o lauree, ma di certo aiuta laddove non si conosce assolutamente nulla. E dove, ovunque ci si giri, c'è un continua richiesta di denaro (gli esordienti sono una macchina di soldi indicibile!).
Con tanto impegno, usando internet nella maniera giusta, rubando il mestiere letteralmente con gli occhi, è possibile ottenere risultati e non farsi abbindolare.

E magari non spendere 3000 euro per pubblicare un libro che non è un libro.  

Prima di parlare di generi letterari, di dialoghi, di ritmo, di punti di vista (i famigerati "POV"), stili e tutto ciò che concerne il libro, quindi, facciamo un passo indietro e guardiamo, tecnicamente, le basi.

Per basi intendo una serie di errori che ritrovo SEMPRE nei testi degli esordienti (ma anche di molti non esordienti). 

Andiamo a vedere alcuni di essi.

- La È. Che non è E', e neanche è (con la speranza che qualcuno lo modifichi per bontà). È, appunto, "È", e se non si ha una tastiera moderna (per moderna intendo una di quelle che costano più di venti euro) questo "simbolo speciale" si può ottenere con il codice ASCII, la cui combinazione è realizzabile tenendo premuto il tasto Ctrl + i numeri indicati per ogni simbolo. La lista è  facilmente consultabile qui (e il riassunto iniziale dei caratteri più usati è in effetti quello che ci serve maggiormente in questo frangente): CODICE ASCII (ASKI);

- Nella stessa tabella di cui sopra, troviamo le famose "caporali", ovvero i segni indicativi del dialogo. Per capirci: "«" e "»". Per ogni casa editrice c'è uno "standard" da seguire, generalmente indicato tra le linee guida di ognuna per l'invio dei manoscritti (in questo caso, troverete scritto se prediligono dialoghi con caporali, con virgolette alte, con trattini e via discorrendo). Tuttavia, per il momento sappiate una cosa: tranne qualche eccezione, la maggior parte vuole (esige e comanda) l'utilizzo delle caporali. Che non sono "<" o ">", perché queste si chiamano parentesi uncinate. Utilizzarle non è un "vabbè, pazienza", ma un errore. Un errore che potrebbe costarvi la valutazione di un romanzo magari validissimo;

- I puntini di sospensione sono sempre e solo 3. Non due, non dieci. Sono tre (...) e basta. Subito dopo aver digitato i tre puntini di sospensione, ricordatevi di mettere uno spazio, non lasciarlo è un errore. Lo spazio va lasciato dopo il punto fermo (.), dopo la virgola (,), dopo i tre puntini di sospensione (...) e in generale dopo tutti i segni di interpunzione (domanda, esclamazione, parentesi, simboli, trattini). Ora che avete imparato a usare questi tre amici, dimenticateli. Non dovete abusarne, mai. Una volta, due volte per pagina, poi basta. Devono essere funzionali, non devono appesantire la lettura, non devono essere "una norma", altrimenti perdono la loro funzione;

- Per restare in tema de "il troppo stroppia" citiamo il punto esclamativo. Il punto esclamativo si usa poco. Pochissimo. C'è chi addirittura dice di usarlo massimo tre volte in tutto il romanzo. Per esperienza posso dire che raramente è possibile, ma tenetela a mente come regola e vedrete che sarete portati a utilizzarne il meno possibile;

- Per quanto in linguistica la "c" di casa sia indicata con la "k" (e dire c di casa potrebbe valervi una bocciatura), in italiano "che" si scrive "che" e non "ke". Evitiamo abbreviazioni e utilizzi bizzarri da galera;

- Evitiamo di usare quattromila segni insieme, come punti di domanda + punti esclamativi + più altri punti di domanda + un unicorno: no. Uno. Al massimo, per esprimere incredulità una volta ogni morte di larva, due (?!);

- La grammatica è nostra amica. Internet è nostro amico. Ciò significa che è bene cercare il vocabolario online e lasciarlo aperto. Sempre. Se non siete sicuri di una parola, cercatela. Non buttatela lì "che tanto poi se non è corretta qualcuno la sistema/capiscono/faccio tenerezza". Se non è corretta avrete fatto una figuraccia, e forse andrete a inficiare la valutazione del sempre famoso libro best seller che non sapevate di aver scritto (non succede mai, ma mettere limiti alla provvidenza è peccato, Wattpad insegna).

Ultima raccomandazione: iniziate a usare bene internet. E per bene intendo utilizzarlo non per condividere gatti e fake news, ma per cercare quello che non sapete.

Alla prossima!


Photo by Dan Counsell on Unsplash





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