sabato 19 dicembre 2020

Ho una storia in testa e vorrei svilupparla, ma ho bisogno di rassicurazioni.

Uno scrittore, si sa, ha bisogno di qualcuno che lo legga. Da sempre. 

Diffidate da chi dice: "scrivo solo perché mi piace farlo"; "non mi interessa se mi leggono oppure no"; "io scrivo per me".

Non è vero, e chi lo dice non è sincero, altrimenti scriverebbe il proprio diario segreto senza dire a nessuno di farlo.

Uno scrittore scrive perché vuole che qualcuno legga quello che ha scritto, che condivida ciò che pensa, che diffonda ciò che sente di dover diffondere. È insito nell'uomo, perché fa parte del processo di comunicazione: parlo perché voglio essere ascoltato.

Avrete sempre sentito dire che la scrittura è un processo solitario, fatto di giornate silenziose, caratterizzato da infiniti dialoghi con il proprio io, e questo corrisponde a verità anche se fino a un certo punto. 

Se è vero infatti che quando ci si mette a scrivere, fisicamente parlando, si è soli con il proprio pc/quaderno/tablet (a meno che non si scriva in coppia o in gruppi di persone), è anche vero che il modo in cui si scrive e crea varia di persona in persona, di situazione in situazione.

Esistono autori abituati a scrivere a fasi alterne, magari ascoltando musica di vario genere; ne esistono altri che non riescono a riflettere neanche su una frase se non in religioso silenzio; ce ne sono altri ancora che preferiscono essere circondati dalla natura, qualunque essa sia, o di immagini capaci di farli immedesimare nel contesto scelto per il loro romanzo. 

E poi ci sono quelli che si avvalgono di amici, conoscenti, lettori professionisti o semplicemente lettori forti, passando a loro le storie a mano a mano che procedono con la stesura.

Ci sono quelli che scelgono di scrivere racconti o romanzi a puntate sulle piattaforme di scrittura.

Ci sono quelli che aprono un blog e condividono con il pubblico quello che pensano.

Le motivazioni che spingono un autore ad agire in questo o quel modo possono essere le più disparate, ma per esperienza personale posso dirvi che farsi leggere via via che si scrive funziona. 

Funziona alla grande.

Partiamo dalla figura del BETA READER, ovvero il "lettore di prova". Il beta reader può essere uno o più di uno, può essere un lettore professionista, un editor o un amico, e la sua funzione è quella di leggere e dire, con sincerità, tutto ciò che il manoscritto affidatogli ha suscitato in lui. Può trattarsi di un beta in itinere, ovvero un lettore che legge a mano a mano che procede la narrazione, oppure un beta finale, che valuterà il romanzo nel suo insieme.

Il beta reader ha più valenze, per lo scrittore, ognuna più indispensabile dell'altra.

- La valenza emozionale: spiega tutte le sensazioni che ha provato nel leggere;

- la valenza tecnica: fa presente le incongruenze, le sviste;

- la valenza emozionale su larga scala: unisce sensazioni personali a visioni d'insieme percepite dal lettore medio;

- la valenza strutturale: sta attento alle variazioni caratteriali dei personaggi, monitora l'andamento della trama, ha un quadro generale delle situazioni e, in base a questo, rende note debolezze e problemi;

- la valenza di rifinitura: solitamente beta finale, va a caccia dei refusi.  

Il beta reader non sostituisce un editor o un correttore di bozze, ma aiuta l'autore a esprimere al meglio quello che è il suo potenziale. Solitamente gli autori un po' più navigati hanno una vera e propria squadra di lettori, a volte usati in contemporanea, a volte selezionati in base al genere prescelto per la loro storia.

Facciamo un esempio.

Anna scrive romanzi d'amore, ma scrive anche romanzi thriller. Anna ha una rosa di cinque beta reader, due ferrati sul genere romance, due sul genere thriller, uno "onnivoro". Inoltre, ha un lettore "cecchino" che scova anche il più piccolo errore di battitura (infidi, che si annidano dove è quasi impossibili trovarli!). 

Per il suo nuovo libro Anna ha deciso di cimentarsi in un romance erotico, quindi chiede ai primi due beta di aiutarla a leggere a mano a mano che procede con la storia e all'ultimo di dare una lettura finale alla storia. Dato che ci saranno delle scene di sesso, e non è avvezza a scriverle, cerca qualcuno che possa aiutarla in tal senso. Infine, dopo l'ennesima rilettura da parte sua (perché ce ne vogliono molte) passa il romanzo al cecchino che la aiuta a presentare alla casa editrice ( o all'editor a cui si affiderà) un lavoro pulito, perlomeno il più pulito possibile (perché l'editor, o la casa editrice, non raccolgono spazzatura: per lavorare al meglio, hanno bisogno di un testo che sia il più corretto possibile in modo da dare il meglio di sé nel tirare fuori il meglio dell'autore).

Il beta reader, per essere valido, deve essere un forte lettore, deve avere una certa conoscenza del genere che sta leggendo (un lettore di scifi difficilmente apprezzerà un erotico, quindi il suo giudizio sarà estremamente dannoso per l'autore che, invece, ha bisogno di sapere se ciò che sta scrivendo è valido e, come abbiamo detto in calce, ha necessità di essere rassicurato e spronato) e deve essere sincero: perlomeno un paio su tutti quelli che leggeranno il manoscritto devono esserlo per forza. 

Perché parlo di un paio su tutti? Perché lo scrittore ha sì necessità di essere messo davanti alla realtà, ma ha anche bisogno di sentirsi coccolato, ogni tanto, e avere una persona che gli fa i complimenti è necessaria al suo ego per spronarlo ad andare avanti.

Ma dove si trovano questi beta reader? Se Anna è una misantropa che vive come Leopardi in una villetta di campagna sperduta in chissà quali valli, ha difficoltà a farsi degli amici e i pochi che ha di leggere proprio non hanno voglia, dove va a sbattere la testa?

Nei gruppi di lettura. Anna entrerà nei gruppi di lettura e chiederà il permesso all'admin di scrivere un annuncio in tal senso. Oppure chiederà aiuto tra la cerchia di autori che è caldamente invitata a conoscere (perché puoi essere misantropo quanto vuoi, ma la scrittura, ricordiamoci, è condivisione. Anche tra colleghi).

Ma.

Ma se Anna, pur provandoci, è una tipa misantropa per timidezza? Se proprio non riesce a trovare lo slancio adatto a chiedere, a sbilanciarsi, a "buttarsi" in un'amicizia o in una semplice richiesta?

Anna aprirà un blog. Magari sotto pseudonimo, ma aprirà un blog. Semplice, lineare, che non deve rendere conto a nessuno e che non richiede altri sforzi che lo scrivere e condividere.

E se Anna non riesce a capire come fare, non ha la testa per stare dietro a quello che vede come un impegno troppo gravoso? Perché, mi preme dirlo, un blog deve essere costantemente aggiornato e vissuto, altrimenti non diventerà mai visibile nell'oceano sconfinato di internet.

Anna entrerà su una piattaforma di scrittura, che sia EFP, Wattpad o Edizioni Open (ce ne sono svariate, cercate!), pubblicherà i suoi racconti o i suoi romanzi a puntate, entrerà in contatto in maniera "passiva" con altri lettori e scrittori e si creerà un piccolo giro di contatti.

Il punto è uno: farsi leggere. Non per vendere, non per guadagnare, ma per comunicare e condividere ciò che si ha dentro.

Perché scrivere deve essere e rimanere prima di tutto questo. I soldi e tutto ciò che è lavoro arriva dopo e deve essere comunque parallelo all'amore per la scrittura. 

Oh, non pensiate che il mio sia un discorso da idealista: se non scrivete con il cuore, il lettore se ne rende conto e vi saluta. E voi, a quel punto, non avrete più né il potenziale lavoro né la passione che vi ha spinti a iniziare.

Condividere. Comunicare. Scrivere.

Alla prossima! 

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lunedì 14 dicembre 2020

Per scrivere un libro romance devo leggere solo romance?

Oh, be', eccoci al quesito dei quesiti. 
È corretto leggere un solo genere per poter scrivere proprio quel genere?
Ma non è l'unico, sapete? Ce ne sono altri!
È giusto leggere e basta, senza interessarsi più a nulla che non sia la carta stampata?
E ancora: mi hanno detto che se voglio scrivere devo abbandonare le serie televisive, gli anime e leggere solo classici.
Hanno parlato anche di come i libri cartacei aiutino a memorizzare e ad apprezzare davvero un romanzo, e di come al contrario il digitale favorisca il binge-reading: è vero?

Prima di passare alle risposte vi chiedo io: ma non fareste meglio a non ascoltare chi fa tutte queste domande?
Per dirne una.  

In ogni caso, la risposta a tutti questi dubbi potrebbe sembrare scontata nella maggior parte dei casi, ma io vi stupirò con effetti speciali e vi dirò che: no, non è corretto.
Anzi, rispondere di sì anche a una sola di queste domande è la cosa più sbagliata che potreste fare.

Un lettore è un lettore, per antonomasia legge quello che vuole, quindi se desidera dedicarsi a un solo genere è liberissimo di farlo (per i bambini, purtroppo, paghiamo le conseguenze delle scelte spesso filtrate dagli adulti e quindi la questione è molto più delicata, ma si tratta di un discorso del tutto diverso).

E uno scrittore? 
Uno scrittore deve studiare. Sempre. Anche quando legge per piacere, in realtà sta studiando. Vi sembrerà qualcosa di asfittico, eppure andando avanti con la scrittura vi renderete conto che il cervello non si mette mai in pausa. 
Del resto, qualsiasi cosa può essere d'ispirazione.
E qui veniamo al nocciolo della questione e al sunto delle risposte "scontate" che vorrei provvedere a stroncare.


Se si vuole scrivere un libro, di qualsiasi genere esso sia, è ovvio che bisogni conoscerne le basi e anche tutte le strutture. I romance, per esempio, hanno delle linee guida ben precise da rispettare: un romance senza lieto fine non può essere definito romance, per citarne una nel mucchio (quindi, se pensavate che scrivere una storia d'amore fosse semplice devo darvi l'ennesima brutta notizia: non lo è affatto); un giallo presuppone che i personaggi si muovano in un determinato modo, che nella trama siano magari compresi degli impostori e tutta una serie di indizi e false piste; i thriller potranno essere declinati in molti modi, ma secondo stabiliti canoni... e via discorrendo.

Una volta studiata la base, ovvero il modo in cui è necessario muoversi nell'ambito del proprio genere d'appartenenza, arriva l'aspetto complicato: cercare l'ispirazione, sviluppare l'idea, fare in modo che la struttura regga, non risultare banale, non copiare espedienti o situazioni (perlomeno se si vuole confezionare un prodotto che sia personale) e scrivere in un italiano che sia tale.
Per fare tutto questo è evidente che sia necessario muoversi in più direzioni, e focalizzarsi sul solo genere d'appartenenza non è tra le soluzioni più furbe che potrebbero venirvi in mente. 

Quante trame vi vengono in mente facilmente riconducibili a Harry Potter, per citarne uno?
Quante saghe sui vampiri più o meno sexy sono state scritte subito dopo Twilight?
E fantasy puri che ricordano Tolkien?
Ed erotici (sig!) alla 50 sumature?

Ah, quante lamentele ho sentito sugli Harmony: sono tutti uguali, parlano sempre delle stesse cose, basta cambiare i nomi dei protagonisti e l'ambientazione ed ecco che hai il libro (anche se lì c'è tutta un'altra spiegazione che, ragazzi miei, merita un capitolo a parte. Giusto per restare nel tema del "oh, com'è facile scrivere una storia d'amore!").

Il punto è: 
- Ideare una storia romance non è semplice, ma è tutto sommato fattibile (più che fattibile). Ma scriverne una originale?
- Pensare a un giallo, una volta capiti i meccanismi matematici (già, ragazzi, Maria Masella insegna che è tutta matematica!), non è complicato, ma trovare una trama che sappia entusiasmare e restare in testa?  
- Scrivere un erotico sembra così semplice, ma qualcosa che si discosti dal video amatoriale caricato su You Porn?

Avvicinarsi a generi e linguaggi del tutto diversi, è la risposta.
Uscire e andare al cinema a guardare un film d'azione.
Guardare un anime su Netflix o Prime, magari uno shonen (ce ne sono alcuni spettacolari che a ogni episodio regalano chicche per tremila romanzi almeno).
Andare a teatro e assistere a uno spettacolo di qualche compagnia sperimentale.
Leggere horror (non avete idea della genialità che si nasconde dietro a certe penne purtroppo sconosciute ai più... e che scrittura!).
Acquistare e leggere un fumetto o un manga (perché immaginare le scene della vostra storia è il primo passo per riuscire a rendere la vostra prosa credibile, e i punti di vista illustrati in ogni tavola creano un dinamismo nel vostro cervello che i film non riescono a produrre).
Leggere libri per ragazzi. Non commettete l'errore di pensare che siano "solo" per ragazzi, perché in realtà si tratta di romanzi curati nei minimi particolari, quasi sempre molto più validi della narrativa per adulti.
Andate sulle piattaforme di scrittura e lettura e spulciate tra le storie presenti: vi si aprirà un mondo. E delle competenze che ignorate.
Guardate serie televisive di qualsiasi genere (no, non dovete buttare la tv o il pc) e se potete cambiate anche la nazionalità della produzione. Punti di vista diversi vi apriranno gli occhi su soluzioni che non avete neanche mai immaginato.
Leggete saggi. Sembra noioso, ma non lo è affatto, una volta trovato un argomento a voi congeniale: il linguaggio utilizzato in questo tipo di libri non lo troverete altrove, e invece vi sarà indispensabile per ampliare il vostro vocabolario e sapervi destreggiare tra le parole.
Leggete i classici (se proprio vi sentite in dovere di farlo), ma alternateli a libri moderni. Importanti, magari.
Se dovete scrivere uno storico, cercate di studiare anche tutto ciò che riguardava il resto del mondo nel periodo che volete prendere in esame (questo vuol dire non solo sui libri, ma anche tramite documentari e film): vi aiuterà a fare parallelismi interessanti e, perché no, a trovare degli spunti a cui non avreste mai pensato. 
 
Ho risposto a tutto? Ah, no, manca la questione del digitale e...
Be', ragazzi, tolta la questione "soldi" e la tematica "ambiente", c'è anche il fulcro del lavoro della Kondo: non so voi, ma se non avessi un lettore e-book i libri mi avrebbero sfrattata di casa da eoni!
E se un libro interessa, che sia digitale o cartaceo non è importante. 
D'altra parte, senza la possibilità di regolare la dimensione del carattere io avrei abbandonato la lettura cartacea da anni!

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sabato 12 dicembre 2020

Gli scrittori affermati sono come i genitori: dimenticano di essere stati bambini (o esordienti)

 Qualche giorno fa mi sono imbattuta nel post di una persona, un professionista, che diceva più o meno: "Sono stanco della gente che invia il proprio manoscritto all'editore senza curarsi della forma, dei refusi, degli errori. Se volete inviare il vostro libro, e sperare che questo venga preso in considerazione, dovreste presentare un manoscritto privo di errori."

Il che, lo sappiamo tutti, è praticamente impossibile. Specialmente se si parla con persone che sanno cosa voglia dire errore, ma non sanno cosa significhi refuso (e non per gravi carenze linguistiche, ma perché il termine "refuso" è largamente utilizzato nel linguaggio editoriale, ma ben poco conosciuto al di fuori di esso.)

Partiamo con il dire una cosa: è vero, vedere sempre gli stessi errori è snervante. Ancor più lo è notare come lo scrittore (o aspirante tale) non si sia preso la briga di controllare anche le più piccole cose che noi, addetti ai lavori, reputiamo scontate se non "stupide". Ricordate l'articolo scorso, in cui citavo la È, i puntini di sospensione, i dialoghi segnalati male e via discorrendo?

Ecco.

Il problema serio però è un altro e ha due facce: la scarsa pazienza di chi vede gli errori (e non parlo degli editori), e la completa ignoranza (e non sempre per loro demeriti) di chi li commette.

L'arroganza, in entrambi i casi, è l'ostacolo maggiore, e a volte risulta insormontabile. 

Se è vero che gli scrittori un po' più esperti hanno il brutto vizio di puntare il dito e notare tutto ciò che di sbagliato compie il prossimo (è una cosa con cui vi troverete faccia a faccia ben presto, se deciderete di intraprendere il cammino della scrittura) perché divorati da dinamiche che spiegheremo più avanti (molto più avanti), l'esordiente si sente forte delle proprie competenze.

Che quasi sempre non ha.

L'editor, in tutto questo, è un occhio sospeso che osserva e tace, che parla se interpellato, ma che davanti ai soliti errori scrolla le spalle e lavora. 

Perché un editor serio e valido non giudica, ma interviene, spiega e smussa. Una volta. Al massimo due o tre, se è dotato di grande pazienza. Poi però passa alla falce o a un aut aut. Perché è vero che ci deve essere comprensione da una parte, ma anche voglia di imparare e desiderio di crescere dall'altra. E l'obiettività di avere a che fare non con un "pari, ma con una persona con maggiore esperienza che è lì per aiutare e non per giustificare il proprio lavoro. 

Insomma: se ti spiego una volta le cose e tu dici che hai capito, la seconda mi aspetto che tu metta in pratica ciò che hai imparato o che almeno mi dia prova di averci provato. Rispondere in maniera arrogante, magari creando problemi sullo spostamento di una virgola o di una parola, utilizzando peraltro un tono autoritario e poco rispettoso, è la strada giusta per una rispostaccia che spesso si tramuta in un addio. 


Detto questo, è vero che una volta appresi i primi rudimenti del mestiere si tende a dimenticare cosa voglia dire essere dei completi "esordienti", ovvero non sapere cosa sia una cartella editoriale; dove si possa controllare il numero di battute, spazi o meno inclusi; quali siano le norme da seguire per inviare un manoscritto; se sia necessario impaginare o no il testo; se si possano inserire delle immagini all'interno dell'opera; se sia necessario cercare una copertina (perché non si sa che tutti, nel mondo editoriale, le chiamano cover e non foderine).

Una volta dimenticate determinate dinamiche accade un fatto abbastanza increscioso per chi osserva (non dimentichiamo che tra queste persone ci sono quasi sempre lettori): si tende ad attaccare, a giudicare, a puntare il dito, a sbeffeggiare.

È davvero brutto. Perché nessuno diventa scrittore conoscendo già tutto, anche a seguito di milioni di corsi di scrittura creativa o affini.

Se non si finisce mai di studiare, non si finisce mai di imparare.

Cosa possiamo fare per contrastare questo tipo di persone?

Essere sinceri, sempre, e non aver paura di sbagliare o di chiedere.

Chiedere, soprattutto, è quello che ci salva da qualsiasi problema. 

Togliamoci dalla testa la mania di dover fare finta di sapere sempre tutto: è controproducente e non serve a niente. 

Uno dei primi strumenti per l'autore, a qualsiasi livello, è la curiosità. Anche per scrivere "ciao". Sembra un consiglio scontato, idiota, neanche da "menzionare", eppure...

Eppure non sapete quante parole a caso trovi nei manoscritti anche di persone "navigate"; quante imprecisioni nei post social di persone "che hanno studiato" ravvisi; quante inesattezze siano presenti addirittura nei siti che si propongono di aiutare l'autore a emergere/scrivere/imparare.

La curiosità è fondamentale. Chiedere quando non si è sicuri di qualcosa è fondamentale. Cercare informazioni valide da fonti attendibili (che non sono Wikipedia) è fondamentale.

Nel corso delle settimane cercherò di toccare uno per uno tutti gli argomenti più importanti, ma se vi trovate proprio ora a dover affrontare il grande salto nel vuoto che è la scrittura del romanzo, l'invio del manoscritto o qualsiasi altra cosa riguardi il sogno di vedere il vostro libro realizzato (non permettete mai a nessuno di sminuirlo, men che meno agli autori disincantati che cercheranno di farvi desistere) allora andate su Facebook e cercate i gruppi di lettura o di scrittura.

Immettendo nel motore di ricerca parole come "libri"; "book"; "lettura"; "scrittura"; "recensioni", troverete decine e decine di realtà diverse, ognuna delle quali potrebbe fare al caso vostro. Condividere la passione per questo mondo, intanto, e trovare persone nella stessa situazione in cui vi trovate voi può essere uno stimolo enorme per non abbattersi, per trovare risposte che vi generano ansia, per unire le forza con altri e creare una vostra realtà altrettanto valida.

Soprattutto, entrerete nel vivo dell'universo editoriale, imbattendovi in parole che forse adesso ignorate.

Cos'è un beta reader? Cos'è un give away? Cos'è un review party? E un blog tour?

Curiosità, ragazzi: sarà vitale per le vostre storie e per fare in modo che esse riescano a circolare tra i lettori.

Senza farvi prendere in giro da nessuno.

Ah, ovviamente potete chiedere anche a me, oppure raccontarmi la vostra esperienza, commentando questo articolo oppure cercandomi nei canali social.

Alla prossima!

Photo by Green Chameleon on Unsplash



giovedì 10 dicembre 2020

"Prendevo nove ai temi d'italiano, eppure mi hanno detto che non so scrivere!"

Ciao! 

Eccoci di nuovo qui con un quesito/affermazione interessante. Da editor, ho sentito molto spesso questa frase, e se quando ero alle prime armi era un'affermazione che mi colpiva in prima persona, perché lo pensavo anche io, con il tempo ho capito dov'era l'inghippo.

Per spiegarvelo, però, ho deciso non di descrivere tecnicamente il perché e il per come, ma di prendere a esempio qualche frase del mio professore di linguistica all'università (luogo in cui spero di riuscire a tornare dopo questa dannata pandemia!)

Durante le primissime lezioni, infatti, questo santo uomo ci ha spiegato una cosa a cui ero arrivata da sola in maniera molto vaga, ma che non avevo mai collegato a "un fatto concreto": a scuola insegnano le basi necessarie a vivere in una società "normalizzata e convenzionale", ma una volta che si vuole intraprendere un mestiere legato alla scrittura o allo studio di essa, bisogna cancellare tutto e ricominciare daccapo.

È vero.

Così come esistono sei vocali e non cinque, così come "le analisi logiche e grammaticali" fatte alle elementari si basano su convenzioni che i linguisti aborrono, così un editor ti dirà che ci sono norme editoriali, metodi e tutta una serie di "obblighi" che non sai finché non ti approcci in maniera tecnica a un testo.  

Sapete, mia madre è un'insegnante di scuola elementare. Una volta mi trovai a parlare con lei di un libro che avevo abbandonato perché infastidita dallo stile dell'autore. Si trattava di un thriller, e l'autore utilizzava lo schema "due punti, aperte virgolette" tra una scena e l'altra, struttura che rallentava il ritmo e mi "afflosciava" del tutto. Quando le spiegai i motivi del mio fastidio, lei obiettò che quel modo di introdurre i dialoghi era proprio quello che insegnava ai bambini, a scuola.

"È sbagliato?" mi chiese.

Rullo di tamburi...

Assolutamente no, tranquilli :D Il fatto però è che dipende. Dipende dalla scena che si vuole descrivere, dipende dal ritmo che quel frammento richiede, dipende dal genere letterario in cui si è deciso di muoversi, dipende da... tutto.

Il punto fondamentale da capire è che a scuola ci si va per leggere e scrivere nella vita di tutti i giorni, ma per scrivere un libro ci vuole altro. Ci vuole studio, studio, studio. Come si va all'università per studiare e poi apprendere un mestiere, una disciplina, un'arte, così si deve studiare per saper scrivere nel vero senso della parola.

Ora, non tutti hanno la possibilità di andare all'università o permettersi corsi costosi qua e là. Magari il paese in cui si vive è del tutto scollegato "dalla civiltà" (come il mio, tipo!); magari nella propria città non esiste alcuna realtà legata alla scrittura/lettura; magari, semplicemente, la vita non ci consente il "lusso" di studiare altrove o di investire denaro.

Però, come dicevo qualche giorno fa, è possibile ottenere buoni risultati anche da soli. Il che non significa che studiare da soli sostituisce corsi professionali o lauree, ma di certo aiuta laddove non si conosce assolutamente nulla. E dove, ovunque ci si giri, c'è un continua richiesta di denaro (gli esordienti sono una macchina di soldi indicibile!).
Con tanto impegno, usando internet nella maniera giusta, rubando il mestiere letteralmente con gli occhi, è possibile ottenere risultati e non farsi abbindolare.

E magari non spendere 3000 euro per pubblicare un libro che non è un libro.  

Prima di parlare di generi letterari, di dialoghi, di ritmo, di punti di vista (i famigerati "POV"), stili e tutto ciò che concerne il libro, quindi, facciamo un passo indietro e guardiamo, tecnicamente, le basi.

Per basi intendo una serie di errori che ritrovo SEMPRE nei testi degli esordienti (ma anche di molti non esordienti). 

Andiamo a vedere alcuni di essi.

- La È. Che non è E', e neanche è (con la speranza che qualcuno lo modifichi per bontà). È, appunto, "È", e se non si ha una tastiera moderna (per moderna intendo una di quelle che costano più di venti euro) questo "simbolo speciale" si può ottenere con il codice ASCII, la cui combinazione è realizzabile tenendo premuto il tasto Ctrl + i numeri indicati per ogni simbolo. La lista è  facilmente consultabile qui (e il riassunto iniziale dei caratteri più usati è in effetti quello che ci serve maggiormente in questo frangente): CODICE ASCII (ASKI);

- Nella stessa tabella di cui sopra, troviamo le famose "caporali", ovvero i segni indicativi del dialogo. Per capirci: "«" e "»". Per ogni casa editrice c'è uno "standard" da seguire, generalmente indicato tra le linee guida di ognuna per l'invio dei manoscritti (in questo caso, troverete scritto se prediligono dialoghi con caporali, con virgolette alte, con trattini e via discorrendo). Tuttavia, per il momento sappiate una cosa: tranne qualche eccezione, la maggior parte vuole (esige e comanda) l'utilizzo delle caporali. Che non sono "<" o ">", perché queste si chiamano parentesi uncinate. Utilizzarle non è un "vabbè, pazienza", ma un errore. Un errore che potrebbe costarvi la valutazione di un romanzo magari validissimo;

- I puntini di sospensione sono sempre e solo 3. Non due, non dieci. Sono tre (...) e basta. Subito dopo aver digitato i tre puntini di sospensione, ricordatevi di mettere uno spazio, non lasciarlo è un errore. Lo spazio va lasciato dopo il punto fermo (.), dopo la virgola (,), dopo i tre puntini di sospensione (...) e in generale dopo tutti i segni di interpunzione (domanda, esclamazione, parentesi, simboli, trattini). Ora che avete imparato a usare questi tre amici, dimenticateli. Non dovete abusarne, mai. Una volta, due volte per pagina, poi basta. Devono essere funzionali, non devono appesantire la lettura, non devono essere "una norma", altrimenti perdono la loro funzione;

- Per restare in tema de "il troppo stroppia" citiamo il punto esclamativo. Il punto esclamativo si usa poco. Pochissimo. C'è chi addirittura dice di usarlo massimo tre volte in tutto il romanzo. Per esperienza posso dire che raramente è possibile, ma tenetela a mente come regola e vedrete che sarete portati a utilizzarne il meno possibile;

- Per quanto in linguistica la "c" di casa sia indicata con la "k" (e dire c di casa potrebbe valervi una bocciatura), in italiano "che" si scrive "che" e non "ke". Evitiamo abbreviazioni e utilizzi bizzarri da galera;

- Evitiamo di usare quattromila segni insieme, come punti di domanda + punti esclamativi + più altri punti di domanda + un unicorno: no. Uno. Al massimo, per esprimere incredulità una volta ogni morte di larva, due (?!);

- La grammatica è nostra amica. Internet è nostro amico. Ciò significa che è bene cercare il vocabolario online e lasciarlo aperto. Sempre. Se non siete sicuri di una parola, cercatela. Non buttatela lì "che tanto poi se non è corretta qualcuno la sistema/capiscono/faccio tenerezza". Se non è corretta avrete fatto una figuraccia, e forse andrete a inficiare la valutazione del sempre famoso libro best seller che non sapevate di aver scritto (non succede mai, ma mettere limiti alla provvidenza è peccato, Wattpad insegna).

Ultima raccomandazione: iniziate a usare bene internet. E per bene intendo utilizzarlo non per condividere gatti e fake news, ma per cercare quello che non sapete.

Alla prossima!


Photo by Dan Counsell on Unsplash





lunedì 7 dicembre 2020

Come si inizia a scrivere un libro?

Sembra assurdo per molti, eppure è una delle domande più ricorrenti che leggo nei gruppi di scrittori esordienti, tra i lettori, tra gli aspiranti autori.

Come si scrive un libro?

Ovviamente le risposte sono sempre delle più disparate, e le prese in giro non mancano. Come se tutti fossero nati con il talento di poter narrare una storia, come se non avessero dovuto studiare e sudare sette camicie per apprendere tutto ciò che mettono in pratica giorno dopo giorno in questo o quel libro. Che lo facciano davvero bene, poi, è un altro discorso.

Prima di affrontare l'argomento, tuttavia, permettetemi di fare una premessa.

Ho deciso di dare vita a questo blog, o meglio di riportarlo in vita, perché noto sempre più spesso che gli autori esordienti sono letteralmente abbandonati a loro stessi, gettati tra le fauci degli editori a pagamento (per poi essere accusati di averlo fatto!), scherniti più o meno quotidianamente, bistrattati e derisi.

La loro colpa? Non sapere.

Quando ho iniziato io, nel 2008, non esisteva la realtà di Facebook per come la conosciamo, così come non esistevano Twitter o Instagram. C'erano i forum di scrittura, con le relative "palestre", c'erano i primi e rudimentali blog, c'erano grandi scrittori che prestavano il loro tempo e i loro consigli ai piccoli autori o aspiranti tali senza spocchia o pulpiti da cui parlare, con la sola voglia di condividere il proprio sapere per puro amore del libro, della storia in generale, della lettura.

Con gli anni sono proliferati siti, social, gruppi, circoli chiusi e "false celebrità". Gli scrittori che aiutavano il prossimo si sono stancati dei fandom delle nuove leve; le nuove leve hanno finito per credersi piccoli dèi, mettendosi spesso sullo stesso piano degli scrittori più grandi. E agli esordienti non ci ha pensato praticamente più nessuno.


Scrivere un libro, si sa, non è affatto facile. 

Quante volte vi siete messi lì con l'idea in testa, e in due pagine avevate già esaurito tutta la storia? 

Quante volte avete detto: "I personaggi fanno come vogliono! Mi metto seduto a scrivere e non so mai cosa accadrà!"?  

Quante volte vi siete chiesti: "Ma come inizio? So quello che voglio dire, ma non ho idea di come fare per dirlo"? 

Le risposte? 

"Segnati a un corso di scrittura creativa!"

"Paga un editor e fatti assistere passo passo!"

"Affidati a un coach e fatti consigliare da lui!"

E sono risposte più o meno valide. Ognuna di esse, tuttavia, prevede un esborso di soldi che talvolta è troppo oneroso, specialmente in un periodo particolare come quello che stiamo vivendo.

Bene, sappiate che ci sono dei modi per iniziare a studiare, per iniziare a capire "da che parte cominciare", e il tempo che impiegherete a farlo sarà lo stesso che vi consentirà di mettere i soldi da parte per investirli in un secondo momento, se davvero convinti, in corsi, aiuti, consigli e via discorrendo.

Il primo passo:

Leggete. Ma non i libri dei vostri amici, quelli di vostro cugino tanto bravo, quelli che avete visto nei gruppi FB. Quelli potrete goderveli dopo. Adesso no. Adesso dovete leggere libri che possano aiutarvi a crescere. Prediligete editori non troppo commerciali, autori che abbiano alle spalle anni di esperienza e squadre valide di editor e professionisti.

Leggete, arricchitevi, fate fluire la loro prosa nella vostra mente e fatela vostra. Immagazzinate le parole, ampliate il vostro vocabolario, scaricate una app di parole nuove che possa aiutarvi ad accrescere il vostro bagaglio culturale.

Anche se non scriverete un libro, vi sarà certamente utile nella vita di tutti i giorni!

Il secondo passo:  

Prendete il vostro libro preferito, quello che avete sempre amato, adorato, quello di cui avete consumato le pagine.

Come disse Muciaccia: Ffffatto?

Bene, ora prendete un quaderno, una penna e mettetevi seduti a tavolino. E studiate.

Scomponete il libro in sezioni, dal prologo a tutti i capitoli in cui è suddiviso. Cercate di individuare l'obiettivo di ogni capitolo, poi di ogni paragrafo. Tentate di creare una scaletta di quel libro, brevi frasi che possano costituire lo "scheletro" della storia. Annotate i caratteri dei protagonisti, in quale modo interagiscono, quali sono i loro rapporti, in che maniera i personaggi secondari contribuiscono alla realizzazione della trama, quali sono le storie personali di ognuno di essi e quali sono le qualità di ognuno.

Fatto questo, individuate qual è lo spazio in cui si muovono: una casa? Un giardino? Un ristorante? Si tratta di una storia itinerante? E le descrizioni, come vengono gestite? Ci sono ricchi particolari oppure è tutto abbozzato, integrato nella narrazione?

Una volta fatto questo, fermatevi. 

Rileggete tutto.

Avete davanti agli occhi la scaletta da cui è probabilmente partito l'autore per scrivere il suo libro. La stessa scaletta a cui dovete fare riferimento per poter progettare la vostra storia.

Non siete più al punto d'inizio adesso, vero?